Teatro. A volte sfugge anche “L’attimo fuggente”

CAMPI BISENZIO – Certo non è facile “trasportare”, come fosse un Caronte delle arti, la storia cinematografica sul palcoscenico e forse questo è il limite. Ci sono storie che si prestano di più, altre restano imbrigliate nell’atmosfera fascinosa del cinema dove i primi piani, i silenzi e la musica sostituiscono la parola. A teatro no, […]

CAMPI BISENZIO – Certo non è facile “trasportare”, come fosse un Caronte delle arti, la storia cinematografica sul palcoscenico e forse questo è il limite. Ci sono storie che si prestano di più, altre restano imbrigliate nell’atmosfera fascinosa del cinema dove i primi piani, i silenzi e la musica sostituiscono la parola. A teatro no, non sempre funziona, nonostante quello del teatro sia un luogo dove tutto diventa possibile. E allora perché portare in scena un film? E’ una domanda che assale lo spettatore che si trova a dover fare confronti difficili. E a volte la risposta è quella che è meglio desistere.

Al Teatrodante Carlo Monni ieri sera 14 gennaio è andato in scena “L’attimo fuggente” per la regia di Marco Iacomelli con protagonista nei panni del “rivoluzionario” professor Keating Ettore Bassi e in scena gli attori Mimmo Chianese, Marco Massari, Matteo Vignati, Alessio Ruzzante, Matteo Napoletano, Matteo Sangalli, Leonardo Larini, Edoardo Tagliaferri e Sara Giacci. La storia è nota. Siamo nel 1959 e in un collegio del Vermont arriva il professor Keating. Il suo modo di fare didattica è innovativo e si scontra con la tradizione voluta dal preside. Keating invita i giovani ad apprezzare la poesia e a trovare la propria strada provocando negli studenti l’entusiasmo di chi deve “cogliere l’attimo”. Il finale drammatico costringerà Keating ad abbandonare la scuola, non senza aver lasciato un segno della sua presenza.

Il film, quasi un cult-movie degli anni Ottanta, (uscito nel 1989) ha fatto sognare una già sognante generazione. Un film forse sopravvalutato ricordato con il tormentone “Capitano, mio Capitano…” della scena finale catartica con il crescendo musicale, ha comunque segnato un’epoca ed è rimasto nella memoria. Non era certo facile da rendere spettacolo teatrale, da rendere parola, dialogo. La traduzione teatrale è stata perfetta dal punto di vista scenografico: due fogli bianchi con tracciate i versi e il volto di Walt Whitman (il vero Capitano mio Capitano del professor Keating), attraverso il cambiamento di colori ha sottolineato le emozioni e i passaggi dello spettacolo, mentre il testo è apparso frammentario, poco coinvolgente, che rimanda al film.

La stagione di prosa prosegue venerdì 24 gennaio con “Odore di chiuso”, (tratto dal libro di Marco Malvaldi), la produzione originale  del Teatrodante diretta da Andrea Bruno Savelli.