CAMPI BISENZIO – Un gruppo di persone (tra le quali anche il sindaco di Calenzano Alessio Biagioli) sono partite il 25 febbraio scorso da Roma con un volo per raggiungere le tendopoli Saharawi. Il rientro è avvenuto sabato scorso 4 marzo. Doppio l’obiettivo: proseguire con i progetti di solidarietà e partecipare alla SaharaMarathon. Di quel viaggio di solidarietà e sport ci racconta, attraverso parole e immagini, Simone Bolognesi che ha partecipato in rappresentanza del Comune di Campi Bisenzio.
“Voglio partire dalla fine del mio viaggio, dalla visita al “muro della vergogna”. La questione Saharawi è l’unico esempio di Stato riconosciuto a livello internazionale da più di novanta paesi, che si trova ad esercitare la propria indipendenza in esilio. Dopo che il Marocco ha eretto, con l’aiuto dell’Arabia Saudita, un muro di circa 2800 km circondato da 7 milioni di mine antiuomo europee e anche italiane, il popolo Saharawi si è trovato a vivere diviso, in diverse zone. Da una parte i campi per i rifugiati saharawi che si trovano nel deserto di Hamada nei pressi della città di Tindouf in Algeri, città che dista solo 100 km dal confine con il Sahara Occidentale. Dall’altra, nella zona liberata nel Sahara Occidentale, le città sono diventate accampamenti militari.
L’aereo atterra all’aeroporto militare di Tindouf, intorno abbiamo solamente alcuni funzionari Saharawi che ci indirizzano verso jeep, camion e bus che ci accompagneranno ai campi profughi. Durante il viaggio il silenzio è irreale, un po’ per il sonno un po’ per l’orizzonte persistente del deserto che ci circonda: l’oscurità non finisce mai e aiuta a scrutare un cielo pieno di stelle nel quale la luna ci guarda fissa.
Veniamo accompagnati al nostro alloggio. Le case sono costruite con mattoni di sabbia e acqua lasciati ad essiccare, per una settimana, al sole. I tetti sono fatti di lamiere e di travi di legno che sorreggono la struttura.
Il Sahara dove d’estate si raggiungono anche i cinquanta gradi, ospita quasi trecentomila rifugiati di cui il 70% sono donne e bambini, dislocati in diversi villaggi. La mattina dopo, appena alzati, rimaniamo subito colpiti da ciò che il buio di qualche ora prima aveva nascosto. Il villaggio è circondato da una montagna di rifiuti. Non esiste infatti alcun tipo di smaltimento per quanto riguarda vetro, metallo, carta e plastica, trasformando il deserto in una discarica a cielo aperto.
La scoperta maggiore sono le donne saharawi. I loro occhi nascosti dai veli, la loro disponibilità ad accogliere ogni straniero nelle loro case, l’enorme forza di carattere che ogni giorno sono costrette a tirar fuori. Ogni villaggio ospita una sede dell’Associazione Nazionale delle Donne Saharawi che ha carattere decisionale all’interno del parlamento. La società qui rappresenta una delle rare realtà matriarcali di tutto il continente africano.
Sono rimasto sorpreso nel conoscere il tasso di alfabetizzazione del popolo Saharawi: pari al 97%.
È davvero bello constatare che la povertà dei campi non ha pregiudicato la loro voglia di imparare e di migliorarsi. Se non ci sono i banchi si siedono per terra. Se non ci sono fogli si esercitano scrivendo sulla polvere dei loro banchi.
In questi pochi giorni abbiamo potuto conoscere uomini e donne che ci hanno raccontato le loro storie. Vecchi e bambini che ci hanno ospitato nelle loro case per condividere insieme il sapore del tè. Ogni giorno è facile rendersi conto dell’importanza delle loro tradizioni osservando le loro piccole conquiste. Come, appunto, la cerimonia del tè, che accompagna ogni giornata saharawi, dove regna come sempre l’ospitalità, carattere predominante della loro cultura. In ogni casa, in ogni negozio, dal gommista al fornaio, nel deserto o nelle scuole il kit per la preparazione del tè è immancabile. Ovunque tu sia ti offrono un tè. Chiunque tu incontri ti offrirà del tè. Ed è maleducazione rifiutare. Il calcolo dei litri di tè e, soprattutto di zucchero, alla fine del viaggio è decisamente elevato. La preparazione ha un lento e particolare procedimento che può durare anche un’ora. Per questo bere il tè rappresenta soprattutto un momento d’incontro tra le persone e molto spesso c’è tutta la famiglia che accompagna la cerimonia in presenza di un ospite. Sono tre i tè che vengono serviti in tutto, ognuno dei quali con un sapore e una simbologia differente: il primo amaro come la vita, il secondo dolce come l’amore e il terzo soave come la morte.
Simone Bolognesi”