Diari del tandem: guardo Campi da un oblò e… non mi annoio neanche un po’

CAMPI BISENZIO – A Campi si può anche navigare su due ruote e guardare lontano oppure tornare indietro nei luoghi dove siamo stati ragazzi. Potenza della fantasia, del cuore e… del tandem. Questa puntata de “I diari del tandem” è di Andrea Bruni, che ha pedalato con Giovanni Grossi, stavolta passeggero.  Cos’è un Oblò? Forse […]

CAMPI BISENZIO – A Campi si può anche navigare su due ruote e guardare lontano oppure tornare indietro nei luoghi dove siamo stati ragazzi. Potenza della fantasia, del cuore e… del tandem. Questa puntata de “I diari del tandem” è di Andrea Bruni, che ha pedalato con Giovanni Grossi, stavolta passeggero. 

Cos’è un Oblò? Forse è solo un limite, un contorno all’interno del quale vedere un mondo.  Quante volte ci accorgiamo troppo tardi che guardando la nostra vita ne vediamo solo una piccola parte, una prospettiva possibile. E il resto?

L’Oblò può essere quello di una lavatrice, come nel mio spettacolo. Quindi può aprire lo sguardo su racconti leggeri e poetici, raccontare storie d’amore e di fragilità che si compiono in una sola giornata in un mondo piccolo, quello di una lavanderia automatica. Dall’apertura della mattina, alla chiusura notturna accadranno cose e incastri emotivi che trasformeranno la vita di cinque persone. Oblò può essere anche una prospettiva, il cerchio che vediamo mettendo l’occhio dentro un canocchiale. Può essere la ricerca di orizzonti nuovi. Per me, nato e cresciuto a Sesto Fiorentino, Campi è sempre stato l’altrove da conoscere, il confine lontano su cui misurare il mio coraggio di giovane dal cuore inquieto. Non sto esagerando, ci sono stati appuntamenti importanti nella mia vita legati a questa città.

La prima volta che ho messo piedi a Campi ero un ragazzino appena uscito dalle scuole medie, giocavo a Basket e dicevano fossi bravo. Non lo so, ero una sorta di mediano, nel senso che correvo tanto, sudavo, recuperavo palloni, ma nel Basket quel ruolo non esiste. C’era il Playmaker, il regista si direbbe in termini calcistici, quello diventò il mio ruolo, quando arrivai a Campi. Per una serie di scambi di mercato che videro passare al glorioso Basket Rinascita di Sesto una sacca di palloni e tre piatti di pecora, il mio cartellino passò al mitico Glass Globe Basket, era la seconda metà degli anni 80. Era una squadra importante, un salto grande per me, inoltre avrei dovuto andare da solo agli allenamenti, con il mio nuovo Sì Piaggio color Canna di Zucchero: Sesto – Campi per me, nel mio piccolò Oblò, era la Milano-Roma! Ad allenarci il mitico Alvaro Francioni detto il Pimpero, burbero dal cuore d’oro che mi accolse con uno sguardo torvo e una battuta: “Quelli bassi devono correre più degli altri, vai comincia!” Basso? Ero 1 metro e 80 ed ero il più alto della mia classe. Poi vidi i miei compagni, ero il più basso. Ricordo i Pivot di 2 metri arrivati dal Prato, che ci fecero poi vincere tante partite in stagione. Sì, ero in un’altra categoria. A quell’epoca ricordo i derby con il Polistrade, la palestra Gianni Rodari gremita, il tifo rumoroso e divertente. Il cuore e la passione di Campi, mi innamorai di tutto. E poi tutti mi chiamavano “pezzo”: “Grande pezzo. Ciao Pezzo. Vieni pezzo!” Dicevano fosse un complimento, boh. Rimasi 3 anni, poi mi ruppi il crociato, l’Oblò cambiò, dovetti cercare nuove prospettive. Adesso continuo a fare il regista, ma corro molto meno. Oggi passando davanti alla palestra ho visto che hanno dipinto un sommergibile intorno alle finestre, che sono diventati Oblò, un segno? Che bello!

L’altra storia risale al mio rapporto con Carlo Monni, con il teatro a lui intitolato, con le coincidenze fortunate. Io Carlo l’ho conosciuto e c’ho anche lavorato insieme, ma non posso dire di annoverarmi tra i suoi amici, un po’ per la mia timidezza (sì, vi stupisco, sono timido, oh allora?), un po’ per una certa riverenza che sentivo verso di lui. Con me è sempre stato aperto e guascone, come con tutti, io ridevo e lo guardavo, cercavo di rubarne ogni gesto e movimento, come si fa con un’opera d’arte. Ma di lui il mio ricordo più bello è all’inizio inizio, che non sapevo nemmeno fosse un inizio, della mia carriera artistica. Erano gli anni 90,  all’epoca pensavo di poter diventare soprattutto un regista cinematografico, il cinema poi l’ho fatto, ma in maniera piccolissima, così piccola da rimanere il mio desiderio per gli anni a venire, un bel sogno per la vecchiaia. Insomma, prendo il coraggio da ventenne e presento un mio cortometraggio ad un concorso e vinco il premio della giuria, chi c’è a premiarmi? Carlo, e mi fa tanti complimenti per il mio video, che, dice lui: “m’ha fatto piangere accidenti a te!”. Vi racconto questo perché il mio piccolo manufatto audiovisivo era un’intervista, montata alla meglio, ai miei nonni, alle mie radici. Il seme di tutto il lavoro che poi avrei fatto per lo spettacolo “In Assenza”, che ha festeggiato il decennale al Teatrodante Carlo Monni nel 2017, l’inizio della mia collaborazione con quel teatro, che quest’anno ha visto in stagione ben 4 miei spettacoli, grazie. L’ultimo è Oblò, non si può perdere.

E Campi vista da un Oblò è quella che vedo adesso, più grande, con radici profonde e rami fioriti che vanno lontano. Una città sempre vitale, genuina, dove puoi fermarti per un gelato dal Fantino e stare un’ora a sentire un racconto di viaggi in Cina e marchi registrati del gelato campigiano. Dove puoi andare al Porto delle Storie a sentir parlare di Economia Civile e scoprire che sta per nascere un progetto artistico di livello nazionale. Dove tutto sembra piccolo sulla mappa, ma enorme quando provi a guardare negli occhi le persone che lo popolano. Un mio maestro mi diceva sempre che la “Mappa non è il territorio”, che per scoprire le cose vere bisogna vivere a cuore aperto, non avendo paura di conoscere. Ecco cos’è per me Campi, vista dall’Oblò.

Andrea Bruni