
FIRENZE – Quest’estate l’arrivo di David De Gea alla Fiorentina non ha ricevuto l’attenzione che avrebbe meritato. Hanno inciso diversi fattori, primo fra tutti la rivoluzione tecnico-tattica voluta dalla società. La squadra è disinvoltamente passata dal gioco di Italiano, incentrato sul possesso palla e il controllo avanzato del campo, a quello di Palladino (che dovrebbe essere) basato sull’attirare l’avversario, per poi riconquistare velocemente il pallone, avviando il gioco offensivo tramite verticalizzazioni e attacchi sulle fasce, con un forte ricorso ai duelli individuali. Solo nelle ultime ore di mercato questa rivoluzione è stata affiancata dalle necessarie operazioni di rafforzamento.
Nel frattempo, il 9 agosto, la Fiorentina aveva annunciato l’acquisto del suo nuovo portiere. David De Gea, nato il 7 novembre 1990. Il giocatore era fermo da un anno, dopo la scadenza del suo contratto con il Manchester United, squadra in cui aveva militato per ben dodici stagioni collezionando 545 presenze in tutte le competizioni. La mancata firma con un nuovo club, dovuta in parte alle sue elevate richieste economiche, lo aveva posto ai margini del mercato: un esubero del calcio che conta. Uno scenario che ha offerto alla Fiorentina l’opportunità di concludere un importante colpo di mercato.
David, ufficialmente 1.92 di altezza e 76 chili, è figlio d’arte: José De Gea difendeva la porta del Getafe. Al momento dell’arrivo allo United, era il portiere più costoso della storia, strappato all’Atlético Madrid, dove era cresciuto ed aveva vinto l’Europa League 2009-2010 e la Supercoppa Uefa 2010, oltre ad essere il portiere titolare della Spagna Under 21vincitrice dell’Europeo 2011. I suoi ultimi anni con i Red Devils sono stati oggetto di molte critiche, in particolare le stagioni 2018-2019 e 2019-2020, segnate da gravi errori nelle respinte su tiri da lontano e nelle uscite alte, particolare su cui era stato sempre criticato. A rendere più pesanti le critiche era il suo ingaggio da 12 milioni di euro annui. Nel 2020 De Gea ha perso il posto da titolare nella nazionale spagnola, dove aveva esordito sei anni prima. Ma nel suo finale di carriera in Inghilterra non ci sono state solo ombre: nell’ultima stagione con lo United (2022-2023) ha ottenuto l’importante riconoscimento di miglior portiere della Premier League. Indiscutibilmente, la Fiorentina ha acquistato molto più di un portiere: ha portato a Firenze una vera e propria icona del calcio globale, un testimonial ideale per la promozione sportiva del club se ci fosse l’ambizione di fare un salto di qualità in Italia ed in Europa.
Al tempo stesso, De Gea ha scelto di rimettersi pesantemente in discussione, affrontando un campionato sconosciuto in una squadra di livello inferiore ai grandi club, per dimostrare di essere ancora competitivo. A Firenze ha dovuto rinunciare al numero 1, che Terracciano si è conquistato con il costante e positivo rendimento delle ultime stagioni. Sulle spalle di David è tornato il numero 43, lo stesso con cui esordì con l’Atlético. A difendere la porta viola, è tornato un grande portiere, degno della tradizione gigliata.

Un tracciato storico, che, a studiarlo, evidenzia gli enormi cambiamenti avvenuti nel ruolo e nella sua interpretazione. Prima degli anni Cinquanta la presenza di fortissimi calciatori nella Fiorentina era saltuaria (Pitto, Pizziolo, Petrone, Menti…). Con la presidenza Befani, alla fine del 1951, schierare campioni diventò una caratteristica fondante della squadra viola, quasi un marchio di riconoscimento. Non la presenza di una o due stelle, mai campioni, quelli che rendono possibile centrare i successi, e permettono la conquista di un posto stabile ai vertici del calcio italiano. Si può datare da allora, anche se ci sono illustri predecessori prima della guerra, come il “gatto nero” Ballanti (che si definiva “er mejo der monno”) all’inizio degli anni Trenta, seguito da Amoretti e Griffanti (1938-1943 e 1945-1946 con due presenze in Nazionale e una grande temerarietà nelle uscite), l’inizio di una vera e propria dinastia dei numero 1 viola.
Arrivò dal Bari, a seguito di uno scambio con Giuseppe Moro, uno dei più stimati portieri italiani, Nardino, diminutivo affettuoso di Leonardo, Costagliola, classe 1921, destinato a essere titolare per sette stagioni dal 1948 al 1955 in cui vestì tre volte la maglia della Nazionale, convocato assieme a tutti gli altri componenti della difesa viola. Nardino fu uno dei portieri più apprezzati dai tecnici per la continuità di rendimento e la caratteristica, rarissima all’epoca, di comandare la difesa. Costagliola aveva fortemente voluto Firenze, preferendola al grande Torino e al Bologna – le due città non l’attiravano, erano troppo fredde per lui che veniva dalla Puglia e aveva una città nel cuore, Firenze appunto, e il sogno di viverci. Sandro Picchi lo ricorda come uno dei primi ad avere stabilito un rapporto diretto con il pubblico della curva Fiesole. “All’inizio e alla fine della partita si svolgeva il piccolo, atteso, puntuale, irrinunciabile, rito del saluto. Nardino entrava in campo e salutava la curva, lasciava il campo e mentre imboccava la scaletta del sottopassaggio agitava la mano verso il pubblico della Fiesole”. Costagliola era un acuto uomo di calcio, capace di consigliare allenatori a Befani, fra cui Bernardini, e raccontava di essere stato lui ad indicare al tecnico romano il proprio successore, Giuliano Sarti, il portiere del primo scudetto. Dopo un anno passato alle spalle di Costagliola, Sarti, prelevato dal calcio dilettantistico, divenne titolare a 22 anni e fu protagonista di tutto il grande ciclo Fiorentina fino al 1963, divenendo capitano nel 1961, puntualmente titolare anche se aveva a che fare con Albertosi che gli veniva preferito dai selezionatori della Nazionale.
Le sue caratteristiche le spiegava lui stesso: “Allora un portiere era tanto più bravo quanto più riusciva a tuffarsi, a volare da un palo all’altro. Io invece non ero molto spettacolare, e di solito ero un portiere che si tuffava poco… Allora si giocava ancora senza libero. Il libero, in pratica, lo facevo io perché secondo me un portiere doveva essere nel vero senso della parola l’undicesimo giocatore in campo. Non doveva limitarsi a stare tra i pali, ma condurre il gioco, guidare la difesa. Io cercavo di fare tutto questo, la gente non ci era ancora abituata e all’inizio arrivarono anche le critiche. Diciamo che sarei stato adatto per il calcio che sta andando di moda oggi, ero … un portiere moderno”.
Quando Giuliano passò all’Inter dove fu il portiere del ciclo Herrera (cinque stagioni con 2 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali) il suo sostituto, Enrico Albertosi, era già portiere della Nazionale, dove aveva esordito proprio a Firenze. L’allievo predestinato a superare il suo, bravissimo, predecessore. Dotato di grandissime doti fisiche abbinate a uno stile perfetto era arrivato a Firenze all’inizio della stagione 1958-1959 e ci rimase fino al 1967-1968, alla vigilia del secondo scudetto. Campione d’Europa con l’Italia nel 1968, vinse due scudetti, uno con il Cagliari e uno con il Milan, ma la Fiorentina è rimasta la squadra con cui ha più giocato e dove ha vinto due volte la Coppa Italia, la Coppa delle Coppe e la Mitropa Cup.
Quando venne ceduto in Sardegna, insieme a un altro calciatore talentuosissimo, Brugnera, il suo sostituto era già pronto. Franco Superchi, il portiere degli ye ye campioni d’Italia, autore di un campionato favoloso nel 1968-69 e che rimase nella nostra porta fino al 1976. Un portiere forte in tutti i fondamentali del ruolo: dal grande senso di posizione e di piazzamento all’abilità nelle uscite. Non passò molto tempo per rivedere un grandissimo interprete del ruolo nella porta viola: il giovanissimo Giovanni Galli, gettato in prima linea nella nostra “ora più buia”: il campionato 1977-1978, concluso con la salvezza per differenza reti all’ultima giornata. Portiere completo, il migliore della sua generazione, difese per nove anni la nostra rete, sfiorò lo scudetto nel 1981-1982 e fu campione del Mondo in Spagna nello stesso anno. Passò qualche anno, fino al 1993, per ritrovare un grandissimo numero uno: Francesco Toldo, forte freddo efficace, baluardo viola. Autore di uno strepitoso Europeo nel 2000, sfuggito alla Nazionale solo nei supplementari della finale. Protagonista nella Fiorentina fino a quando il disastro provocato da Vittorio Cecchi Gori ne impose la cessione e cominciò la nostra discesa negli inferi calcistici. Ma solo chi cade può risorgere ed ecco, nel momento in siamo tornati protagonisti ai massimi livelli, un altro grandissimo portiere Sebastien Frey di cui abbiamo parlato su Piananotizie nel luglio dell’anno scorso (https://www.piananotizie.it/pianaviola/coi-capelli-di-frey-la-storia-e-la-carriera-a-firenze-di-un-grande-numero-1/). Benvenuto, quindi, a De Gea che ci ha dato l’occasione per parlare di tutti questi grandi campioni che hanno onorato la maglia gigliata.
Massimo Cervelli – Commissione storia Museo Fiorentina