Come nel cinquantasei: la storia di una Fiorentina bella e vincente. Ma anche di come è nata…

FIRENZE – L’epoca attuale è caratterizzata da una sospensione del tempo. Il passato non interessa, non è più il prima che spiega il dopo, i motivi per cui siamo arrivati alla situazione attuale. Il futuro non è più il tempo da costruire, riflettendo sul passato e interpretando il presente, ma un domani nebuloso, che sfugge. Si vive in una dimensione falsata, dove il presente, l’oggi, sembra essere infinito, con esiti disastrosi: non imparando dal passato ci rifiutiamo di costruire un futuro migliore. La fine della storia è stata teorizzata, a cavallo del Duemila, e, soprattutto è diventato l’orizzonte con cui i media, tranne rarissime eccezioni, trattano tutte le tematiche. Tutto questo vale, come ogni rilevante fenomeno sociale, anche nel gioco del calcio. La realtà è modellata, da radio, Tv e giornali, su quel che succede nelle ultime 24 ore. Una forma esasperante che, oltre a rendere il successo l’unico valore, cancella la storia delle squadre e dei propri sostenitori. Le vicende del campionato vengono ridotte alle sole “big” e il messaggio, ossessivo, è: conta soltanto vincere! Senza indagare su come questo avviene: bilanci falsi, plusvalenze inventate, debiti giganteschi che stanno distruggendo il pianeta calcio.

Questo orizzonte è fatto proprio dalle società di calcio e dalle loro proprietà. La dimensione del club è soltanto quella del presente. Niente viene speso (e il Coni e la Figc dovrebbero imporre una quota obbligatoria a tutte le società) per promuovere, tra i tifosi e gli appassionati la conoscenza della propria storia. Per questo, salta agli occhi, oltre che agli orecchi, sentire il coro che, ad ogni partita della Fiorentina rimbomba nello stadio: “Torneremo, torneremo… torneremo grandi ancor… torneremo a esser campioni come nel Cinquantasei”. Nel 1955-1956 la Fiorentina, a trent’anni dalla sua fondazione, conquistò lo scudetto per la prima volta, la seconda fu nel 1968-1969. I viola disputarono un campionato strepitoso: dodici punti di vantaggio sulla seconda classificata (nell’epoca dei due punti per la vittoria) e una sola sconfitta arrivata nel finale dell’ultima partita del torneo dopo trentatré giornate in cui la squadra viola era apparsa imbattile.

La Fiorentina scudettata era stata il prodotto di una doppia innovazione: quella organizzativa, impressa dal presidente Befani, un imprenditore pratese, e dal suo consiglio direttivo, che portò ad un’organizzazione di tipo industriale, superando l’approssimazione che caratterizzava le società di calcio; quella tecnica, imposta da Fulvio Bernardini, grande assertore del WM, il “sistema”, a cui però seppe dare dei correttivi vincenti (lo spostamento del mediano Chiappella a marcatore di un attaccante avversario e l’utilizzo di Prini come ala tornante, così da dare maggiore equilibrio e copertura alla squadra), tanto da far parlare di “mezzo sistema”. Queste due grandi innovazioni, organizzativa e tecnica, furono tenute insieme ed esaltate da una grande figura di direttore: Luciano Giachetti, scelto da Befani ed arrivato alla Fiorentina nel luglio 1952. Giachetti, nell’immediato dopoguerra, era stato protagonista della nascita della Sestese, arrivata in pochi anni in serie C. Luciano non aveva esperienza nella direzione di grandi squadre, ma aveva fatto una lunga gavetta nella società di Sesto Fiorentino. Era un grandissimo conoscitore dei regolamenti e delle norme federali, una conoscenza che gli aveva fatto conquistare il soprannome di “re dei ricorsi”. Le cronache dell’epoca raccontano che avesse vinto esattamente diciotto reclami presso gli organi federali! Proprio la sua preparazione e la competenza sui meccanismi normativi, anche non scritti, che regolavano il mondo del calcio furono alla base della scelta, vincente, compiuta da Befani e dai suoi collaboratori.

La Fiorentina aveva, ormai da anni, un fortissimo blocco difensivo, cresciuto già con Luigi Ferrero (allenatore dal 1947 al 1951), ma erano, fino ad allora, falliti i ripetuti tentativi per dare forza offensiva alla squadra. La prova generale dell’assalto al titolo avvenne nel campionato 1953-1954. Siamo Campioni d’inverno, insieme a Inter e Juventus. Alla 21a giornata la Fiorentina è in testa da sola. Diciotto partite consecutive senza sconfitte e poi lo scivolone, in casa, contro il Bologna: siamo in vantaggio, ma perdiamo 3-1. I giocatori si smontano, la squadra crolla e arriva terza. Ma tutti, Befani, Giachetti, il consiglio, Bernardini, i tifosi, avevano capito: possiamo vincere lo scudetto.

Dobbiamo sistemare l’attacco. L’anno dopo viene acquistato un ragazzone friuliano, Beppe Virgili, centrattacco. Segna, ma da solo non basta e il quinto posto finale genera grosse polemiche. La società è cresciuta, Befani ormai “sapeva scegliere, sapeva spendere, sapeva organizzare” e il direttore Giachetti non sbagliava un colpo. Bernardini andò in Brasile a prendere l’attaccante che lo aveva entusiasmato alla Coppa del Mondo 1954: Julinho. L’ala destra fece innamorare tutti e dal Cile arrivò anche Montuori argentino col babbo di Sorrento. Oriundo, si diceva allora. In porta un ragazzino, Giuliano Sarti, che non sbagliava mai la posizione, cambiando, dopo sette anni, l’estremo difensore (Nardino Costagliola, amatissimo dal pubblico) . Nacque così la filastrocca tricolore: Sarti; Magnini, Cervato; Chiappella, Rosetta, Segato; Julinho, Gratton, Virgili, Montuori, Prini e gli altri campioni d’Italia, Toros, Bartoli, Carpanesi, Mazza, Scaramucci, Bizzarri, con Orzan dodicesimo titolare, futuro capitano viola. Il bandierone viola fu issato dal capo tifoso Mario Fantechi sulla torre d’Arnolfo la torre di Palazzo Vecchio.

Avendo vinto lo scudetto con grande anticipo, i gigliati avevano in testa un solo obiettivo: quello dell’imbattibilità, volendo concludere il campionato con un percorso netto che, in serie A, non era mai riuscito a nessuno. A pochi minuti dalla fine dell’ultima partita, a Marassi contro il Genoa, in vantaggio per 1-0 l’arbitro Jonni, con una serie incredibile di decisioni avverse e provocatorie ci fece perdere il record dei record: finire il campionato senza sconfitte. Il Corriere dello Sport titolò: “I viola, avversati dall’arbitro, sono sconfitti negli ultimi minuti”. In quegli anni il colore viola diventò anche azzurro. La Nazionale assunse come base organizzativa Firenze, per i ritiri e le preparazioni. Firenze, alla metà degli anni Cinquanta, è la capitale del calcio, dal punto di vista delle strutture, del gioco, ma anche degli uomini. Fulvio Bernardini, allenatore della Fiorentina, fa parte della Commissione squadre nazionali, assieme ad Alfredo Foni e a Beppe Bigogno, ex calciatore e allenatore viola, che manteneva la propria casa a Firenze, allenatore della Nazionale B. In attesa dell’apertura del Centro Tecnico di Coverciano, fortemente voluto da Luigi Ridolfi, fondatore della Fiorentina e all’epoca presidente del Centro Tecnico Federale, gli azzurri si radunarono al Saltino di Vallombrosa per preparare le doppia trasferta sudamericana (contro l’Argentina e il Brasile) dell’estate 1956. Dei diciotto convocati ben 10 erano calciatori viola, tutti i giocatori titolari, tranne, ovviamente, il brasiliano Julinho. Con loro, immancabile, il massaggiatore Ubaldo Farabullini.

Nella rosa della Fiorentina 1955-1956 la Toscana vantava quattro uomini: il fiorentino Prini, nato a Le Sieci nel comune di Pontassieve; i due giovani valdarnesi: Bartoli di San Giovanni e Scaramucci di Montevarchi; il pistoiese Ardico Magnini. Quattro campioni venivano dal Friuli: Gratton, Virgili, Orzan e Toros, gli ultimi due addirittura dallo stesso paese. Vi erano poi due lombardi, Chiappella e Mazza, e due veneti, Cervato e Segato. Completavano il gruppo: Sarti (emiliano), Carpanesi (ligure), il marchigiano Bizzarri, il piemontese Rosetta, Montuori nato a Rosario in Argentina e Julinho il primo brasiliano della storia viola, che abitava in via Pietro Tacca nella casa che era stata di Gunnar Gren. Bernardini abitava in via dei della Robbia, con la moglie e le due figlie Clorinda e Mariolina. Chiappella abitava in via del Ponte all’Asse; Montuori in via Gino Capponi; Cervato in viale Ugo Bassi ed aveva aperto anche un negozio di calzature. Diventarono tutti “fiorentini” e tanti di loro, finita la carriera scelsero di vivere a Firenze: Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Orzan, Segato, Carpanesi, Gratton, Virgili, Montuori e Prini.

A quella squadra, a quel campionato il Museo Fiorentina ha dedicato un libro (Campioni 1955/1956) che la racconta in tutti i suoi aspetti: la dirigenza, la grandi figure di Enrico Befani e Fulvio Bernardini, il lungo processo di costruzione della squadra. La stagione 1955-1956 viene descritta in tutti i suoi momenti: dal calciomercato al ritiro ad Abbadia San Salvatore, dalle amichevoli estive all’andamento del campionato, giornata per giornata, alle schede dei diciotto protagonisti dell’impresa. Viene descritto, accompagnato dalle fotografie del tempo, il calcio nazionale ed europeo dell’epoca, il rapporto tra giocatori viola e Nazionale, la Firenze degli anni Cinquanta. Sono riprodotti testi del tempo e alcuni nuovi saggi a partire da quello di Raffaello Paloscia sulla stampa sportiva fiorentina e di Sandro Picchi sul mezzo sistema di Bernardini. Il volume affronta ed interpreta anche un periodo cruciale della storia del calcio italiano ed europeo: il nostro dopoguerra reso lunghissimo dalla tragedia di Superga dove, nel 1949, morì il Grande Torino; la nascita dell’UEFA e le nuove competizioni europee; la creazione del Centro Tecnico Federale di Coverciano; le difficoltà della Nazionale di cui quella Fiorentina era spesso l’ossatura.

Viene restituito lo spirito del tempo e la Firenze di allora, al centro dell’esperimento politico del sindaco La Pira ed attraversata da duri conflitti sul futuro delle fabbriche (Officine Galileo, Nuovo Pignone). A quello scudetto seguirono quattro secondi posti consecutivi ed una finale di Coppa dei Campioni persa a Madrid contro il Real nel 1957. Una partita decisa non dagli assi madrileni (Puskas, Di Stefano, Gento), ma da un arbitro olandese Horn che, in omaggio ai centoventi mila spettatori e al dittatore spagnolo Franco, pensò bene di sbloccare la partita concedendo al Real un calcio di rigore per un fallo commesso qualche metro fuori dall’area… Ma questa è già un’altra storia.

Massimo Cervelli (Commissione storia del Museo Fiorentina)