Sono passati esattamente ventuno anni da quel 1 agosto 2002 che segnò il fallimento dell’AC Fiorentina. Un giorno traumatico arrivato al culmine di giorni altrettanto confusi – per usare un eufemismo – e altrettanto traumatici. Giorni in cui le notizie, presunte o vere che fossero, si rincorrevano mentre le speranze dei tifosi viola via via si affievolivano. Ripercorriamo quindi quel triste periodo grazie alla ricostruzione di Massimo Cervelli del Museo Fiorentina.

FIRENZE – Era il 1 agosto 2002 e il Consiglio Federale della Figc, con il comunicato ufficiale numero 21/A, sancì l’esclusione dell’AC Fiorentina dai campionati di calcio. Raffaele Righetti, insieme ad Angelo Di Livio, che aveva le liberatorie firmate da tutti i calciatori, aspettarono fino all’ultimo il bonifico promesso da Vittorio Cecchi Gori per iscrivere la società al campionato di serie B, ma i soldi non arrivarono. La Fiorentina spariva, dopo 76 anni di attività sportiva, dal calcio che conta. Veniva meno un punto fermo nella vita di tutti i tifosi: la certezza che la Fiorentina l’avevi trovata quando eri nato e l’avresti lasciata solo al momento di morire. La squadra viola era morta di crediti, uccisa dall’insolvenza del proprietario nei suoi confronti. Insolvenza, non insipienza, di Vittorio. Il colpo di grazia fu la sottrazione di una settantina di miliardi (si parla di vecchie lire) dalle casse della Fiorentina per essere girati alla finanziaria della famiglia Cecchi Gori (Fin.Ma.Vi, ovvero Finanziaria Mario e Vittorio). L’omicidio sportivo venne realizzato con una vasta rete di complicità. Innanzitutto, quella del governo del calcio, che aveva accettato e consentito queste operazioni. A Cecchi Gori, infatti, venne concesso tutto il tempo possibile per sistemare il proprio patrimonio residuo ed evitare, fino all’ultimo, l’accusa di bancarotta fraudolenta. La Fiorentina, invece, fu implacabilmente distrutta. Come nelle guerre, i bombardamenti avvengono sui civili, sulle strade, le scuole, gli ospedali. Ebbe una grande responsabilità il Tribunale di Firenze, chiamato direttamente in causa dalla consegna dei libri societari, avvenuta il 27 giugno 2001, e che palleggiò con queste carte per un anno. Un anno in cui vennero respinte le istanze di fallimento che, se fosse avvenuto nel corso del campionato, avrebbe permesso di liberarsi molto tempo prima di Cecchi Gori e mantenere la presenza sportiva delle Fiorentina nei massimi campionati nazionali. Ogni volta che venivano respinte le istanze di fallimento, le sentenze avvallavano velleitari piani di risanamento finanziario, stilati da Luciano Luna, poi da Zerunian&Bianchi e vidimati dall’incredibile stuolo di avvocati mantenuti da Cecchi Gori. Piani che si infrangevano contro il solito scoglio: l’impossibilità del proprietario di restituire alla società quanto prelevato. L’ultimo arrivato, l’amministratore giudiziario, continuò, anche lui fino all’ultimo momento, ad aspettare soldi che non potevano arrivare da Cecchi Gori. La Fiorentina ha violentemente rappresentato il paradosso per eccellenza della proprietà privata: appartiene a tutti, ma il padrone è uno solo, può fare e disfare come gli pare.

Tanti complici, ma qualcuno aveva visto giusto
“Cacciamo il tiranno”: con questa parola d’ordine lanciata dai tifosi della Curva Fiesole, furono effettuate numerose contestazioni, compresa, nel dicembre 2001, l’occupazione della sede della Fiorentina in piazza Savonarola. “Cecchi Gori Vattene”, era scritto sullo striscione esposto al balcone. I tifosi volevano sapere perché Vittorio non vendeva la società. Mesi di proteste, allo stadio e in città, sfociarono nella marcia del 18 aprile 2002, che prese il via alle 21 da piazza Indipendenza e arrivò in piazza Signoria. Una marea crescente, capace di unire tutte le generazioni. Una marcia con 35.000 partecipanti, che riempirono con le proprie bandiere, gli slogan e gli striscioni il centro cittadino. Tutti in marcia “per Firenze e la Fiorentina”, perché Cecchi Gori finalmente se ne andasse. Cosa poteva essere fatto, in più, per cacciarlo?
La rinascita
Alle 13.30 del 1 agosto in Palazzo Vecchio, il sindaco Domenici e l’assessore allo sport Giani annunciarono la nascita della società a responsabilità limitata Fiorentina 1926 Florentia che verrà rinominata nei giorni successivi, dalla nuova proprietà Della Valle, Florentia Viola. Il sindaco aveva scritto al Consiglio Federale e aveva ottenuto l’impegno a “esaminare ogni ipotesi volta ad assicurare la presenza nei campionati professionistici di una squadra che sia, direttamente o indirettamente, espressione della città di Firenze”.
La storia non è finita
Il prezzo da pagare è stato enorme: per rendere possibile la continuazione della storia della Fiorentina, per paura della “continuità organizzativa” con la vecchia società, si è dovuto fare a meno del nostro nome, della maglia viola… E si è dovuti ripartire dalla C2. La Fiorentina, in virtù dei titoli sportivi (scudetti e coppe) e della realtà calcistica rappresentata doveva essere iscritta alla C1. Il presidente della Lega di C dell’epoca, Macalli, voleva far ripartire la squadra dai gironi dell’Eccellenza e, in tutti i modi, provò a limitare la libertà di movimento dei tifosi viola, cercando di impedire ai tifosi di seguire la squadra nelle partite in trasferta. La città si strinse attorno alla nuova società e iniziò la marcia per ritornare, e rimanere, ai vertici del calcio nazionale. Il “Franchi” garantiva una cornice che faceva invidia alla stragrande maggioranza degli stadi di serie A, un simbolo vivente della contraddizione tra calcio dei bilanci e calcio del pubblico. Nel mese di agosto, pieno di amichevoli internazionali di grande richiamo, il nono incasso assoluto in Italia si ebbe a Firenze, per la partita con il Pisa, gara disputata per la Coppa Italia di serie C. Domenica 16 settembre, giornata dell’esordio casalingo contro il Castel di Sangro, Firenze vantò il quarto pubblico d’Italia, superiore anche a quello di Bologna-Roma. Il numero degli abbonamenti raggiunse cifre mai pensate per una squadra di serie C (16.648, l’ottavo posto assoluto in Italia). Furono mesi difficili, anche nelle categorie minori una squadra di calcio non si costruisce dal nulla, ma alla fine il sogno diventò realtà. Grazie al potere trascinante della tifoseria e della città e a quella di tanti altri protagonisti positivi. Il capitano Angelo Di Livio che, dopo aver disputato la Coppa del Mondo 2002 in estate, non esitò a ripartire dalla C2, pur avendo numerose offerte di ingaggio, e a trascinare i suoi compagni. Il bomber Christian Riganò che, a suon di gol, conquistò l’affetto di tutti e la testa della classifica. Il presidente, un grande signore, Gino Salica. Giovanni Galli, il direttore che dovette allestire due squadre, una ad agosto e l’altra a gennaio. L’allenatore Alberto Cavasin, letteralmente stregato da Firenze. La Fiorentina è molto più di una squadra di calcio, è la storia di una grande passione.
