Una ha perso il lavoro, l’altra ha un negozio e tante difficoltà: il virus visto con gli occhi di due signesi

SIGNA – Ilaria e Teresa (i nomi sono di fantasia, prima di tutto ci preme tutelare chi sono e cosa fanno) sono due cittadine signesi. La prima, che ha più di 50 anni, ha deciso di non vaccinarsi e ha perso il lavoro; la seconda ha un negozio a Signa e, gioco forza, ha dovuto […]

SIGNA – Ilaria e Teresa (i nomi sono di fantasia, prima di tutto ci preme tutelare chi sono e cosa fanno) sono due cittadine signesi. La prima, che ha più di 50 anni, ha deciso di non vaccinarsi e ha perso il lavoro; la seconda ha un negozio a Signa e, gioco forza, ha dovuto seguire le normative adottate dal punto di vista sanitario. I due rovesci, se vogliamo, della stessa medaglia, una medaglia, ribadiscono entrambe “più subdola della pandemia, non ancora sconfitta, un “virus” che ha contagiato la paura nel futuro e il timore del prossimo, due mali che nel ventunesimo secolo, avremmo dovuto debellare già da tempo”. Ci hanno interpellato e abbiamo chiesto loro di raccontare, con una testimonianza diretta, il momento che stanno vivendo e il loro stato d’animo.

“Abbiamo subìto dice Ilaria – uno stravolgimento economico e sociale, di cui nessuno si sta minimamente interessando e che può portare a scenari decisamente poco allegri. Mi sono vista togliere il lavoro e la libertà di scegliere altrettanto liberamente, a 55 anni, senza avere commesso alcun reato, ma solo per aver scelto ciò che chi ti “condanna” ti ha dato la possibilità di scegliere. All’inizio, quando non venne più permesso di andare al ristorante o sedersi al bar, sorrisi e andai avanti per la mia strada, sicura delle mie idee e che qualcosa effettivamente non tornasse. Tutto sommato pensavo fosse ancora possibile sopravvivere. Con il tempo, però, è passato il messaggio che “la mia scelta”, legittima e legittimata, potesse compromettere la salute di tutte le persone che mi circondano, facendomi vedere talvolta come “diversa” se non “pericolosa”. Inizialmente, per poter lavorare, come tutte le persone che hanno scelto di non vaccinarsi, mi sono sottoposta a un tampone ogni 48 ore. Pratica che ha inciso sensibilmente sul budget mensile, ma che almeno certificava il fatto che non rappresentassi un “pericolo” per nessuno. Il colmo è che mi sono ritrovata a lavorare per mesi con colleghe che, in quanto vaccinate, non si sottoponevano ad alcun test, nonostante talvolta l’affiorare di alcuni sintomi, che in più di un caso si sono poi rivelati essere Covid-19. E nonostante l’evidente inefficacia dei vaccini, per quanto riguarda la trasmissione del virus, da febbraio per gli over 50 come la sottoscritta, è stato introdotto l’obbligo per poter lavorare. A oggi, quindi, mi trovo senza alcuna entrata, con bollette che lievitano di mese in mese e senza che nessuno si preoccupi minimamente delle persone che si trovano nella mia stessa situazione. Persone sane come me e in taluni casi che sono anche già guarite dal Covid mesi fa e che oggi sono totalmente escluse dalla vita sociale e messe sul lastrico”.

“Mi sono sempre sforzata di mantenere la “fiducia” in chi, al Governo, decide per noi, dal momento che dovrebbe saperne di più e agire per il bene collettivo. E invece, con il passare del tempo, mi sono resa tristemente conto che non era così. E l’ho constatato sulla mia pelle, quella dei miei amici e di mia figlia, avendo perso totalmente la possibilità di vivere il contesto sociale. Ho un negozio nel territorio di Signa, cittadina che si è sempre impegnata per sostenere e incentivare la piccola impresa artigiana ma che poi, con quanto deciso in ambito governativo, ha visto tagliare completamente le gambe al tessuto economico e commerciale. Infatti quella che doveva essere una scelta personale, strettamente riservata al sentire del singolo, e in quanto tale tutelata, non solo viene resa praticamente pubblica, ma limita la libertà anche nel mondo del lavoro, condizionando i lavoratori e gli imprenditori. Chi, come me, è titolare di un’attività, si è ritrovata a dover escludere da un lato quei dipendenti che si sono rifiutati di vaccinarsi e, dall’altro, chiudere la porta in faccia a quei clienti che non hanno altra colpa che aver scelto per se stessi, altrimenti costretti a pagarsi un tampone per fare shopping. Tutto questo dopo due anni segnati dal lockdown e relative chiusure delle attività e con costi di gestione che stanno aumentando vertiginosamente. Una situazione che più passa il tempo, più si fa difficile da sostenere. Lungi da me esprimere un parere sull’efficacia della campagna vaccinale, non sono competente e il mio lavoro è fare tutt’altro, ma mi permetto di dire, da lavoratrice autonoma quale sono, che lo scenario che si è andato creandosi è quello in cui, si è costretti a dover fare la parte del controllore o, all’opposto, del sovversivo, solo perché si ha bisogno di portare a casa il pane. Quando invece dovremmo tutti capire che gli unici modi per combattere questo virus, sono il buon senso e la collaborazione. Senza bisogno di dare false etichette e, peggio ancora, avere la pretesa di conoscere lo stato di salute altrui, solo in base al possesso o meno, di un certificato identificativo”.