La storia di Guido Gualandi: dall’archeologia alla produzione del vino

SESTO FIORENTINO – Immaginate una persona che all’alba lavora nel suo campo, mentre al telefono parla in inglese con un commerciale straniero. Che poi torna a casa, organizza una degustazione di vini mentre raccoglie le bietole nell’orto, scrive un articolo per una università giapponese con cui discute online, poi imbottiglia il suo vino con le […]

SESTO FIORENTINO – Immaginate una persona che all’alba lavora nel suo campo, mentre al telefono parla in inglese con un commerciale straniero. Che poi torna a casa, organizza una degustazione di vini mentre raccoglie le bietole nell’orto, scrive un articolo per una università giapponese con cui discute online, poi imbottiglia il suo vino con le etichette da lui disegnate, intrattiene gli ospiti parlando in inglese e francese di archeologia e vini etruschi, prepara una lezione sulle farine bio per l’Università di Firenze, organizza la zappatura per il giorno successivo e poi dà da mangiare alle galline prima della cena. Impossibile? Solo se non conoscete Guido Gualandi. Classe 1966, sestese di origine, eclettico all’inverosimile e cosmopolita, dopo i più svariati lavori e paesi ha deciso di tornare nella sua terra per produrre vino, olio e coltivare secondo la più pura tradizione contadina.

Cosa ricorda di Sesto e in che modo ci è rimasto legato?
“Le mie origini sono sestesi e i miei genitori e i miei fratelli vivono ancora qui; il mio legame con la famiglia è il mio legame con Sesto. Sono cresciuto tra via Quattrini, dove abitavano i miei nonni la mia famiglia aveva un laboratorio, che c’è ancora, e la Zambra; ricordo ancora il rosario detto alla Madonna del piano, quando non c’era nulla intorno, oggi c’è l’Università. Ricordo che lo slargo tra via Quattrini e via Garibaldi era detto I’ canto ma anche Su i’ luca, non so perché. Il personaggio più particolare del luogo era certo Fosco di Palle Secche che io chiamavo l’ammazzaserpi. Mio nonno, Foresto Gualandi, era molto conosciuto a Sesto perché era carbonaio, ma anche perché era stato tra i fondatori della sezione locale della Democrazia Cristiana nel dopoguerra. Mio babbo, Angelo Giulio, chimico, insegnava all’istituto d’arte e realizzava prodotti per la ceramica. Ben presto però la sua strada l’ha portato lontano. Parecchio lontano.
Ho studiato archeologia all’Università di Firenze, ho proseguito tra New York e Parigi conseguendo il dottorato. Ho lavorato nel Medioriente, proprio agli scavi in Siria, sia per l’Università italiana col professor Pecorella che per la missione francese del college de france e del Louvre. Solo nel ’91, a 25 anni sono brevemente tornato a Firenze per seguire un corso di grafico dell’editoria elettronica della Regione Toscana. Una cosa futuristica per l’epoca. Tornato a Parigi ho lavorato allora contemporaneamente come archeologo per il Louvre e con la comunicazione digitale mettendo su un’azienda di comunicazione digitale, la Ziggurat, che faceva progetti ad esempio per Le Monde, Le Figaro e la tv di stato France2”.

Lavorava insomma col passato remoto e col futuro. E come è avvenuto poi il ritorno in Toscana?
“Nel 1999 per varie ragioni personali ho ceduto l’agenzia di comunicazione e sono tornato proprio a Sesto, dove ho fondato una rivista, la Pixel Magazine. Ma è durata poco. Per un po’ ho scritto articoli per un’agenzia di stampa di san Francisco. Nel 2002, trasferito con moglie e figlie qui a Poppiano, Montespertoli, ho messo su un’azienda agricola per coltivare in proprio. E ora faccio vino e olio biologico, approfittando della mia esperienza col digitale per fare le etichette e il commercio online. Sono anche diventato Presidente dell’associazione Grani Antichi per la riscoperta delle colture tradizionali e tengo corsi presso varie università di Storia del cibo nel Mediterraneo”.

Cosa le ha portato il lavoro con la terra?
“Il lavoro da contadino è bello: stai fuori, vivi tutte le stagioni, hai la soddisfazione di veder crescere le cose che tu stesso hai piantato. C’è molta più soddisfazione che nel lavoro al computer, anche se questa rimane una parte del mio lavoro. In effetti faccio quasi tutto da me. Ho il piacere dell’autoproduzione ma con degli elementi importanti: il rispetto dell’ambiente, visto che è tutto bio, con bassa impronta di carbonio, prodotto in un podere con pannelli solari, riscaldamento a biomasse e acqua piovana recuperata. Il rispetto di della salute dell’uomo, con alimenti salutari. E il rispetto per il lavoro dei contadini, soprattutto attraverso i grani antichi, perché ottengono un pagamento equo.
Per produrre il vino ho fatto delle ricerche anche archeologiche: ho studiato come facevano qui il vino gli Etruschi e i Romani, ma ho anche parlato con gli anziani del posto e studiato i processi delle vecchie cantine con botti di legno. In pratica faccio il vino “antico”, ma come di fatto rimaneva nella tradizione toscana prima che arrivassero i nuovi metodi industriali con processi da laboratori chimici asettici. Un ritorno al passato allora?No, sono convinto che oltre al turismo sia questo il futuro di questa terra. Riscoprire i prodotti locali di alta qualità, secondo tradizioni locali, prodotti qui e da gente di qui. E’ l’unico modo per riportare qui lavoro e sfuggire alla logica della grande distribuzione che tende ad appiattire i costi verso il basso con conseguenze drammatiche per l’ambiente e anche per i lavoratori”.

Francesca Gambacciani