“Un mercoledì da scrittori” e “Le otto montagne” di Paolo Cognetti

CAMPI BISENZIO – “La montagna è una scuola di valori”. Punto. Basterebbe questa frase per “presentare” il libro che mercoledì prossimo, 12 aprile, sarò chiamato a mia volta a presentare al nuovo appuntamento con “Un mercoledì da scrittori” al Teatrodante Carlo Monni. Sì, per una volta voglio scrivere in prima persona perchè il libro di […]

CAMPI BISENZIO – “La montagna è una scuola di valori”. Punto. Basterebbe questa frase per “presentare” il libro che mercoledì prossimo, 12 aprile, sarò chiamato a mia volta a presentare al nuovo appuntamento con “Un mercoledì da scrittori” al Teatrodante Carlo Monni. Sì, per una volta voglio scrivere in prima persona perchè il libro di cui stiamo parlando è “Le otto montagne” scritto da Paolo Cognetti per Einaudi. Nato a Milano, classe 1978, Cognetti ha alle sue spalle una carriera mancata da matematico, ma soprattutto, oltre a una capacità innata di spiazzare ogni volta che si cimenta con la scrittura, ha una grande passione per la montagna. E se fino a ora si era cimentato nel racconto con al centro figure femminili, con “Le otto montagne” (46.000 copie vendute e già acquistato in trentuno paesi) ha sentito la necessità di dare maggiore respiro al richiamo delle vette e alla storia dell’amicizia fra due bambini che diventano uomini e che sono sempre alla ricerca di una strada, anzi un sentiero, per trovare se stessi.

“Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza. Con lui era vietato fermarsi, vietato lamentarsi per la fame o la fatica o il freddo, ma si poteva cantare una bella canzone, specie sotto il temporale o nella nebbia fitta. E lanciare ululati buttandosi giù per i nevai”: sono queste le prime parole che si leggono aprendo “Le otto montagne”, un libro che in poco tempo è diventato un fenomeno editoriale. Probabilmente il fenomeno letterario del 2016, grazie alla prosa usata dall’autore e grazie ai due temi su cui il libro si incardina: da una parte l’amore (a volte duro, a volte magnifico) per la montagna; dall’altra, il rapporto fra padre e figlio, in un palleggiarsi di sguardi, rimproveri, consigli, vita.

Se in questi anni l’attenzione della narrativa italiana per la montagna è via via aumentata, un motivo ci sarà. E, come ha detto Cognetti in una recente intervista, “va ricercata non solo nella montagna ma anche in quei luoghi che non sono la città, dove ci si sente più vicini alla terra, agli alberi, agli animali, a una vita più semplice”.

Tornando invece al suo libro, “ecco un’altra sensazione che mi piace tanto in montagna: quegli ultimi metri prima dello spartiacque, il senso improvviso di apertura, il momento in cui puoi guardare di là e di colpo ti si stende davanti un mondo nuovo”, sensazioni provate e riprovate ma che delle quali è impossibile fare a meno quando la montagna ti si pone davanti in tutta la sua maestosità.

Leggendo Cognetti verrebbe da dire che è lo stereotipo del montanaro. Ma è uno stereotipo distorto, quasi miope, visto che più ci si avvicina al suo lavoro e alla sua biografia e più è evidente la sua passione per la parola scritta (elemento che lo ha fatto scegliere per “Un mercoledì da scrittori”), per la solitudine e per la voglia di raccontare il tutto, il vero che pulsa tra le vette e nei nostri cuori. Senza dimenticare che le vette e i nostri cuori spesso sono un “tutt’uno”.