4 novembre 1966, il ricordo dei poliziotti: “Ci spostavamo su delle zattere”

SIGNA – Il giorno della ricorrenza con i cinquant’anni dall’alluvione del 1966 si avvicina sempre di più. E con questo aumentano anche le testimonianze di chi in quei giorni, per motivi diversi, era al lavoro. “Quella notte ero in questura e l’indomani sarei stato in servizio in piazza Unità d’Italia per la cerimonia del 4 […]

SIGNA – Il giorno della ricorrenza con i cinquant’anni dall’alluvione del 1966 si avvicina sempre di più. E con questo aumentano anche le testimonianze di chi in quei giorni, per motivi diversi, era al lavoro. “Quella notte ero in questura e l’indomani sarei stato in servizio in piazza Unità d’Italia per la cerimonia del 4 novembre. Invece arrivò l’allarme e fui inviato a soccorrere le popolazioni del Galluzzo e di Badia a Settimo. Sugli zatteroni che avevamo in dotazione accoglievamo le famiglie che chiedevano aiuto; in molti erano dovuti salire nei piani alti, alcuni fin sul tetto delle case. Caos, bestie vaganti o affogate: la corrente trasportava di tutto”. A parlare è Pietro Deidda, uno dei poliziotti che fronteggiarono l’alluvione di Firenze: nel suo drammatico racconto emerge in tutta la sua interezza quanto successo il 4 novembre 1966, quando l’Arno ruppe gli argini e sommerse in un mare di fango gran parte della città portando con sé anche oltre trenta vittime, suddivise fra la città e la provincia. “Pioveva ininterrottamente da giorni – racconta un altro poliziotto, Francesco Leonardi – io uscii giovedì 3 alle 13 dalla caserma, diretto sulla Empolese a un posto di blocco per le ricerche del terrorista altoatesino Klotz. Dovevano smontare alle 19 del 3 ma solo a mezzanotte e mezzo del 4 ci rimettemmo in marcia verso Firenze. Tutto il tempo in uniforme, inzuppati e infangati; soccorremmo una famiglia rimasta bloccata in un casolare e poi ci dirigemmo al casello di Signa per bloccare il traffico, mentre l’acqua saliva sempre di più”. Augusta Bertaccini Sere, anche le poliziotta tra le prime ad accorrere, era in casa: “Vista la giornata festiva, contavo di riposarmi. Invece arrivò l’acqua. Riuscii con molte difficoltà ad arrivare in questura, dove trovai il cortile pieno di gente: chi chiedeva notizie, chi aiuto. Come se non bastasse, le comunicazioni radio saltarono. Ci ritrovammo in quel marasma con tre colleghe e, oltre a farci carico dei problemi di chi era rimasto senza un tetto, autonomamente decidemmo di girare la città per consegnare viveri, medicinali e coperte